Come rendere una stagione da protagonisti negativa in sole 3 partite: il caso del Napoli di Spalletti (e in generale della società SSC Napoli)

C’era una volta una squadra che aveva fatto sognare nello scudetto i suoi tifosi. Il Napoli di Spalletti aveva, fino a tre gare fa, illuso i suoi fans di potersi giocare il titolo, almeno fino alla fine. Ma le sconfitte contro le toscane e il pari al 92° in casa contro la Roma nel giorno di Pasquetta hanno riportato a galla vecchi problemi. La squadra che in alcune gare aveva steccato, ma che aveva comunque dimostrato di sapersi risollevare, stavolta è affogata dopo i tre gol rimediati in dieci minuti, che hanno ribaltato una gara già vinta (si era sullo 0-2 a pochi minuti dalla fine e con un Napoli che rimaneva comunque almeno teoricamente in corsa per il titolo e a +4 dalla Juventus). Colpa stavolta delle papere incredibili di Meret, che aveva sostituito Ospina e dei cambi forse frettolosi di Spalletti. Ma il Napoli visto ad Empoli aveva comunque, riproposto il calcio visto nelle due precedenti gare. Una squadra sotto-tono, priva di mordente, che anche contro l’Empoli aveva proposto un calcio senza molte idee. Ma le realizzazioni di Insigne e Mertens avevano comunque restituito il sorriso ai tifosi. Che però si è trasformato in rabbia nei minuti finali, quando si è visti passare da 0-2 a 3-2 contro una delle sue bestie nere. Contro l’Empoli in pratica sono stati buttati via 6 punti tra andata e ritorno, che avrebbero consentito agli azzurri di trovarsi a meno 1 dal Milan e più 1 sull’Inter.

La rabbia dei tifosi è diventata palese dopo il fischio finale, quando sui social e nelle discussioni al bar si parla di squadra senza mordente e senza quella giusta voglia di portare a casa la vittoria. Un male, questo, che si ripete ogni anno, ogni qual volta questa società si trova vicino al risultato grosso. E’ infatti una costante della gestione ADL, ma in generale una costante che si ripete da sempre nella storia della società azzurra, quella di steccare gli appuntamenti decisivi, mandando in fumo ottime stagioni. Solo con Maradona si è attenuata questa paura di vincere, non senza episodi incredibili anche nei 7 anni di Diego (come nel caso della stagione 1987-88, quando una squadra già campione d’Italia riesce a perdere tutte o quasi le gare, lasciando il titolo al Milan di Sacchi, oppure quando i rigori contro il modesto Spartak di Mosca hanno estromesso gli azzurri dai Quarti dell’allora Coppa dei Campioni nella stagione 1990-91).

Siamo tornati in effetti agli anni in cui si recitava questo adagio:

Lo scudetto è un mare che non bagna Napoli

In effetti, già in 3 occasioni in precedenza durante la gestione ADL, il Napoli aveva sfiorato la vittoria finale, quando giocandosi il titolo contro la Juventus e il Milan, aveva depauperato nel momento della verità tutte le sue speranze di vittoria. Anche l’anno scorso, quando gli azzurri dovevano solo battere il Verona per qualificarsi alla Champions, avevano patito un male incurabile: l’incapacità di gestire le tensioni, la paura della vittoria, l’incapacità di gestire i momenti difficili. Paura che si era manifestata anche con Ancelotti in E.L., prima di lui con Sarri, ancora prima con Benitez (nel caso ad esempio del sanguinoso il doppio scontro con il Dnipro per l’accesso alla finale di Europa League). Un male che è tornato a farsi vivo con Spalletti dopo che la squadra aveva iniziato il campionato alla grande e che pareva finalmente più “tosta”.

Ma la fragilità della squadra è anche la fragilità della stessa società, incapace di puntellare la squadra nel momento giusto, con innesti di qualità nei reparti più bisognosi (sono anni che la squadra ha bisogno di terzini e ogni anno non si punta su nuovi innesti) oppure non si sostituiscono a dovere i calciatori infortunati o ceduti, puntando su giovani di prospettiva, che però non hanno l’esperienza e l’abitudine a vincere. Al tempo stesso non riesce neanche ad imporre un ritiro punitivo dopo una sconfitta, come quella scorsa, annunciando prima il ritiro forzato, per poi rimangiarsi tutto poco dopo, con un comunicato stampa che recita così:

La società, la direzione sportiva, l’allenatore e lo staff hanno deciso che la cosa più importante da fare in questo momento sia quella di integrare l’abituale scheda quotidiana di allenamento. I turni di lavoro resteranno gli stessi con una grande attenzione per le singole componenti individuali e per il gruppo. Riunioni di teoria e valutazioni delle prossime partite, come sempre fatto. Il tutto integrato, e questa è la novità, da incontri serali a cena per aprirsi maggiormente su eventuali criticità, problematiche, incomprensioni, qualità di gioco, tutto per massimizzare l’eccellente qualità dei nostri calciatori dimostrata nella prima parte della stagione.

E’ il male che affligge il Napoli. Probabilmente è una società e una squadra che più di così non riescono a dare. Limiti tecnici, tattici, mentali, societari. Occorrerebbe fare uno step in più se si vuole vincere davvero, sia a livello societario che tecnico e di squadra. Acquistare calciatori già pronti e abituati a vincere, instaurare una mentalità vincente nel gruppo grazie all’allenatore e allo staff tecnico, puntare su una maggiore organizzazione societaria, dotarsi di strutture d’allenamento e di ospitalità di un certo tipo, puntare sul settore giovanile oltre che ad un business scalabile che possa portare ad uno stadio di proprietà e a maggiori introiti per effettuare maggiori investimenti sulla squadra, sono elementi non più rimandabili a questo punto se si vuole crescere.

Se si vuole invece rimanere su questi livelli, occorre non aspettarsi più nulla da questa società, ma semplicemente perdere ogni speranza e abituarsi ad annate del genere. Poteva essere l’anno buono per vincere, vista la Juventus in fase di ristrutturazione e le zoppicanti milanesi. E invece nulla. Tutto rimandato. A quando non si sa.

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